BIOGRAFIA E ANALISI CRITICA Tiberiano nasce a Massafra (TA) nel 1947. Fu riconosciuto fin da subito dal suo stesso maestro Aldo Renato Guttuso come pittore promettente. Sin da giovanissimo Tiberiano ha amato la pittura ed aiutava volentieri il padre , artigiano decoratore. Dedicatosi completamente all’arte, raggiunse ben presto una sua personalità espressiva. All’età di 17 anni operava già a Venezia con maestri contemporanei e classici.
Come dagli scritti di Spartaco Balestrieri , Il giovane “bohémien” pugliese di antico stampo, giramondo a Milano, allunato in un rigurgito dei suoi itinerari, espone le sue opere a Pavia, Milano, Roma, Barcellona, Madrid, Zurigo, Parigi, Pechino ed in molti altri centri culturali. Tanti dei suoi lavori oggi sono presenti in molte collezioni pubbliche e private.
“Un giovane pittore promettente che trasfuse il suo estro ed il suo entusiasmo non solo nei suoi dipinti ma anche nelle sculture ed in pregiati affreschi che si possono ammirare nelle varie città europee e americane” scrive Marzia Cadario Scuderi .
Notevoli affreschi pertanto, furono eseguiti in Italia, Svizzera, Austria, Francia e Spagna.
La linfa di Tiberiano è la passione che lo spinge a dipingere per ore, senza tregua, senza che la sua stanchezza fisica vinca il fuoco interiore, premette
Lucio Zaniboni
. Fa nascere così un caleidoscopio di immagini-simboli che lo collocano al di fuori di ogni corrente. Qualcuno lo definisce impressionista, ma per Tiberiano non si tratta di stati d’animo fugaci; la sua è una tematica definita che sgorga dall’io, dalla sua condizione di uomo.
Giuseppe Martucci
analizza il suo lavoro osservando in lui una precisa disciplina di linea, uno scheletro d’impianto originale che poi distribuisce nei vari passaggi realizzando la tematica delle forme-immagini. Una gamma di visi, corpi umani, che diventano autentiche espressioni di arte grazie alla carica psicologica che Tiberiano imprime con rara sensibilità per dotarli di forte emozione.
Dalla plastica agli affreschi, agli olii materici dell’impasto pieno e disposto dal tratto deciso, alla figura dolce e stilizzata, snellita d’ogni densità e peso, Tiberiano realizza con tutta sicurezza un audace espressionismo sociale.
Lo ha fatto a tinte violente e con una violenza per cui è stato definito “pittore maledetto” esprime Lucio Zaniboni.
Nelle diverse analisi dei critici d’arte, nel “Panorama mensile della pittura e della scultura” in Italia,
Severino di Candia
esprime un’analisi diversa: le tele dell’artista esternano la sofferenza degli uomini in ogni ricordo autobiografico, in ogni atteggiamento e in ogni espressione, non per questo lo identifica come un “pittore infelice”; L’artista non fa che ricordare la dolcezza e il desiderio di bene nelle sue figure deformi, ricorda dunque, gli affetti che gli sono stati negati o le cose le quali è sopravvissuto, nonostante il dolore provato.
Sorretto nella sua esasperante e fagocitante “riflessione” sull’uomo e sulla sua condizione da una inusuale abilità grafica
In una successiva presentazione di opere, Giorgio marchetti “ribattezza” l’artista da “pittore maledetto” o “infelice” che era,
in “pittore benedetto” per la facilità delle molteplici invenzioni, sia formali che contenutistiche, che continuamente proponeva. Abbandonando i limiti materiali che si era imposto nella prima produzione, cambia la gamma di colori, ma conservando il metodo, adotta pur sempre una gamma ristretta di colori base, variando però ampiamente lo spettro delle tonalità e le loro possibili combinazioni. Tiberiano diede vita attraverso gli argomenti più svariati, nature morte, ritratti, nudi, figure, fiori, paesaggi, animali, ad un nuovo fecondo corso nella sua arte.
Assistendo alla genesi di un’opera di Tiberiano si osservava che tracciava con estrema eleganza ed incontestabile maestria e destrezza il disegno preparatorio: non gli serviva copiare modelli o ritrarre dal vero. Si poteva osservare pienamente armonia, forma e contenuto, idea e materia.
Nel dépliant di Tiberiano a cura di
Franco Sapi
, “LE CAMPANE DI SAN BABILA”
Giorgio Marchetti
divulga il segreto “generativo” dell’artista: “le figure, i volti e le cose sembrano perdere man mano la loro consistenza per dissolversi poi nell’irreale dimensione di un universo di puri colori; a sua volta, questo impossibile mondo dei colori sembra prendere sempre più consistenza dando vita a vere e proprie figure, oggetti, situazioni.
Un abile gioco di rimandi e richiami continui tra i vari elementi che costituiscono gli strumenti della sua attività (siano essi colori, forme o linee); qui tutto si lega e si integra perdendo la propria originaria funzione, tutto è sottomesso all’esigenza della riuscita estetica.”